14 novembre 1951: l’alluvione del Polesine

Il 1951 fu un anno particolare. Da gennaio a ottobre su tutto il territorio nazionale si susseguirono piogge, inondazioni e frane che complessivamente causarono oltre 150 morti, 90 dei quali nel solo mese di ottobre in Calabria (72), Sicilia (12) e Sardegna (6). Nei primi giorni di novembre il nord Italia venne colpito da piogge intense e persistenti che in val Padana raggiunsero l’apice tra il 6 e il 12.

In questi sei giorni sul bacino del Po vennero misurati mediamente circa 30 millimetri di pioggia al giorno, con picchi che superarono anche di quattordici volte la media mensile dei cinque anni precedenti. Una tale quantità di acqua, caduta su terreni già saturati dalle piogge del mese di ottobre, determinò la piena di tutti i corsi d’acqua del bacino. I primi fenomeni di dissesto geo-idrogeologico si verificarono in Piemonte e in Lombardia, dove si registrarono anche alcune vittime.

Il Po crebbe velocemente, ingrossato dalle acque di tutti i suoi affluenti di destra e sinistra e col deflusso verso il mare ostacolato da venti di Scirocco. 

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Tra l’11 e il 12 novembre il fiume ruppe nella zona del parmense, sommergendo migliaia di ettari di terreno. 

Due giorni dopo la piena raggiunse il Polesine. Con questo nome si identifica l’area del Veneto compresa tra i corsi inferiori dell’Adige e del Po, e comprende l’intera provincia di Rovigo e la zona del cavarzerano in provincia di Venezia.

Questo territorio pianeggiante è caratterizzato da ampie depressioni, con molti ettari a quote inferiori al livello del mare. Per fronteggiare i ripetuti allagamenti nel tempo erano stati costruiti canali e argini che, danneggiati durante il periodo bellico e malridotti per la scarsa manutenzione, si trovavano in precarie condizioni.

Particolarmente critica era la situazione nel tratto fra Santa Maria Maddalena e Occhiobello, e fu proprio in questa zona che il giorno 14 novembre l’argine cedette, dando inizio alla più estesa alluvione del XX secolo in Italia.

Le rotte furono tre, in rapida successione: la prima, che raggiunse i 220 metri di lunghezza, si verificò nel tardo pomeriggio nel territorio di Canaro, a Paviole; le altre due, lunghe rispettivamente 312 e 204 metri, si aprirono nel comune di Occhiobello, a Bosco e a Malcantone.

In poche ore le acque dilagarono e raggiunsero, rimanendovi bloccate, l’argine della Fossa Polesella, un canale navigabile di comunicazione tra il fiume Po e il Canalbianco che produsse una sorta di effetto diga. Per favorire il deflusso verso il mare, sarebbe stato opportuno aprire dei varchi nell’argine, ma le autorità tergiversarono e così le acque iniziarono a risalire anche verso monte. L’enorme quantità di acqua proveniente dalle rotte ben presto superò la quota dell’argine della Fossa e si riversò anche nel Canalbianco, dove si aprirono alcune rotte in sinistra mettendo a rischio i due maggiori centri del Polesine, Adria e il capoluogo Rovigo. Adria venne completamente inondata. Oltre 20 mila persone rimasero bloccate in città e isolate per diverse ore, prima di essere tutte evacuate.

A Rovigo, dove era stato organizzato il quartier generale dei soccorsi ed erano stati ospitati molti sfollati, le acque furono in parte trattenute dall’argine del canale Adigetto che, fungendo da diga, salvò il centro storico.

Area inondata (Mappa modificata da E. Migliorini, UTET, vol IV, 1962) 

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