Pechino è di gran lunga il primo inquinatore del mondo e nel 2023 ha aumentato le proprie emissioni di mezzo miliardo di tonnellate: una quantità pari all’intero rialzo globale, dal momento che gli incrementi delle altre economie emergenti sono stati compensati dai cali in Unione europea e Stati Uniti. Ma è anche allo stesso tempo l’economia che ha inondato il mondo di prodotti per la transizione. Già oggi la Cina è in grado di produrre tutti i pannelli solari e tutte le batterie elettriche richiesti a livello globale, con una sovraccapacità che fa irritare i competitor occidentali, ma che allo stesso tempo è stata il motore del crollo dei prezzi delle tecnologie green. Senza la spinta dell’elettrificazione, l’Agenzia Internazionale dell’Energia (AIE) stima che l’aumento tra 2019 e 2023 delle emissioni legate al consumo di energia sarebbe stato tre volte più forte.
Ma l’esplosione delle emissioni cinesi, nel 2023 legata anche alle riaperture post-lockdown decise da Pechino, potrebbe avere vita breve. Secondo il sito Carbon Brief, già nel 2024 la Cina potrebbe mettere il segno meno alla variazione delle emissioni a causa della crescita economica in rallentamento e all’installazione di un’impressionante quantità di rinnovabili. Se davvero così fosse, le speranze di vedere un’inversione di tendenza globale entro la metà del decennio – come previsto dall’Agenzia Internazionale dell’Energia – assumerebbero maggiore realismo. Già oggi la produzione di CO2, benché sia tornata ai livelli 2019, è rimasta distante dal trend pre-Covid. Il rimbalzo economico post-lockdown non ha dunque portato a un rimbalzo carbonico. Ormai non sono più solo i Paesi sviluppati occidentali a vedere la propria economia crescere e allo stesso tempo le emissioni scendere. Anche Sud Africa e Brasile sono entrati a far parte del club di Paesi in cui nell’ultimo decennio si è verificato l’ambito decoupling tra PIL e impatto climatico.
L’ottimismo degli ultimi dati si scontra però con il cronico ritardo del contenimento del riscaldamento globale. Anzitutto, alla limitazione dell’aumento delle emissioni hanno contribuito fattori temporanei: nel 2023 le alte temperature hanno ridotto la richiesta di energia per il riscaldamento e allo stesso tempo il rallentamento economico globale ha contenuto l’impronta carbonica. Ma soprattutto, ogni anno che passa, i modelli climatici ci avvertono che contenere l’aumento della temperatura globale entro il grado e mezzo, o almeno 2, diventa sempre più ambizioso. Il report dell’IPCC che nel 2018 valutò per la prima volta le conseguenze di superare l’1,5 gradi centigradi suggeriva di azzerare le emissioni nette globali entro il 2040, con un calo repentino a partire dal 2020, anno che avrebbe dovuto rappresentare il picco. Un picco che oggi si spera possa arrivare almeno entro il decennio. Ci credono poco anche gli scienziati: dei 380 esperti di cambiamento climatico sondati dal Guardian il 77% ritiene ormai probabile superare i 2,5 gradi centigradi, mentre la metà è convinto che sfonderemo quota 3 gradi.