Legge Europea 2018 – Gestione RAEE – Incentivi per la produzione di energia elettrica da biomasse

Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea –  Legge 3 maggio 2019, n. 37

Fonte: Senato della Repubblica 

Articolo 19
(Disposizioni relative ai rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE) – Corretta attuazione della direttiva 2012/19/UE – Caso EU-Pilot 8718/16/ENVI)

L’articolo 19, non modificato dalla Camera, apporta modifiche al decreto legislativo 14 marzo 2014, n. 49, adottato in attuazione della direttiva 2012/19/UE in considerazione delle non conformità riscontrate dalla Commissione europea nell’ambito del Caso EU Pilot 8718/16/ENVI, al fine di garantire la corretta attuazione della citata direttiva sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE).

La modifica legislativa in esame intende definire il caso evitando l’apertura di una procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia.

Rispetto al testo originario, nel corso dell’esame in Senato in prima lettura, si era intervenuti sulla lettera c), capoverso 7, della norma, prevedendo che, qualora non sia possibile, a causa delle dimensioni o della funzione del prodotto, apporre il simbolo – e il marchio, secondo quanto previsto con una modifica apportata dal Senato – sull’apparecchiatura elettrica ed elettronica, gli stessi sono apposti sull’imballaggio, sulle istruzioni per l’uso e sulla garanzia dell’apparecchiatura elettrica ed elettronica, anche se in formato digitale.

In particolare la lettera a) del comma 1 integra l’art. 14, comma 3, del decreto legislativo n. 49 del 2014, introducendo adempimenti in capo ai produttori di apparecchiature elettriche ed elettroniche (di seguito, AEE) finalizzati al monitoraggio da parte dell’ISPRA del rispetto del tasso di raccolta differenziata dei RAEE.

In materia, le disposizioni della direttiva (art. 7, paragrafo 2), prevedono, al fine di stabilire se il tasso minimo di raccolta sia stato raggiunto, che gli Stati membri provvedono affinché le informazioni sui RAEE raccolti separatamente, conformemente all’articolo 5 della direttiva stessa, siano trasmesse agli Stati membri gratuitamente e che siano almeno comprensive di informazioni sui RAEE che sono stati:

1.   ricevuti presso impianti di raccolta e di trattamento,

2.   ricevuti presso i distributori,

3.   oggetto di raccolta differenziata da parte dei produttori o di terzi che agiscono a loro nome.

La lettera in esame introduce, a tale riguardo, l’obbligo a carico dei produttori e dei terzi che agiscono a loro nome, di trasmettere, con cadenza annuale e gratuitamente, all’ISPRA i dati relativi ai RAEE così specificati:

1.   ricevuti presso i distributori

2.   ricevuti presso gli impianti di raccolta e trattamento

3.   oggetto di raccolta differenziata.

La lettera b), mediante la novella dell’articolo 23, comma 3, del decreto legislativo, riconduce i casi di rimborso dei contributi ai produttori di AEE ai soli previsti dalla direttiva.

L’art 23, in materia di Modalità di finanziamento dei RAEE provenienti dai nuclei domestici, prevede per i RAEE storici il finanziamento delle operazioni di ritiro e di trasporto dei RAEE domestici conferiti nei centri di raccolta, nonché delle operazioni di trattamento adeguato, di recupero e di smaltimento ambientalmente compatibile dei medesimi, a carico dei produttori presenti sul mercato nello stesso anno in cui si verificano i rispettivi costi, in proporzione alla rispettiva quota di mercato, calcolata in base al peso delle AEE immesse sul mercato per ciascun tipo di apparecchiatura o per ciascun raggruppamento, nell’anno solare di riferimento (comma 1). Per i RAEE derivanti da AEE immesse sul mercato dopo il 13 agosto 2005, il finanziamento delle operazioni di ritiro e di trasporto dei RAEE domestici conferiti nei centri di raccolta, nonché delle operazioni di trattamento adeguato, di recupero e di smaltimento ambientalmente compatibile dei medesimi, è a carico dei produttori presenti sul mercato nell’anno in cui si verificano i rispettivi costi, che possono adempiere in base alle seguenti modalità: a) individualmente, con riferimento ai soli RAEE derivanti dal consumo delle proprie AEE; b) mediante un sistema collettivo, in proporzione alla rispettiva quota di mercato, calcolata in base al peso delle AEE immesse sul mercato per ciascun tipo di apparecchiatura o per ciascun raggruppamento, nell’anno solare di riferimento.

Il comma 3 vigente, qui oggetto di novella, prevede che il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare definisce le misure necessarie per assicurare che siano elaborati appropriati meccanismi o procedure di rimborso dei contributi ai produttori qualora le AEE siano trasferite per l’immissione sul mercato al di fuori del territorio nazionale ‘oppure qualora le stesse siano avviate al trattamento al di fuori dei sistemi di cui all’articolo 8, comma 2’, disposizione questa oggetto di espunzione dalla norma in esame.

Si ricorda che, in base al citato articolo 8, comma 2, del D. Lgs. 49, i produttori di AEE, attraverso uno dei sistemi di gestione indicati, determinano annualmente e comunicano al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare l’ammontare del contributo necessario per adempiere, nell’anno solare di riferimento, agli obblighi di raccolta, trattamento, recupero e smaltimento imposti dal decreto legislativo, in misura tale da non superare la migliore stima dei costi effettivamente sostenuti. Il produttore, al momento della messa a disposizione sul mercato nazionale di un’AEE, può applicare sul prezzo di vendita della stessa il contributo, indicandolo separatamente nelle proprie fatture di vendita ai distributori. La presenza del contributo può essere resa nota nell’indicazione del prezzo del prodotto all’utilizzatore finale.

Nell’attuale testo vigente del d. lgs. 49/2014, le procedure di rimborso sono previste, oltre che per il caso in cui le AEE siano trasferite per l’immissione sul mercato al di fuori del territorio nazionale, anche in ipotesi in cui le stesse siano avviate al trattamento al di fuori dei sistemi di gestione previsti dall’articolo 8, comma 2, del decreto, fattispecie, quest’ultima, non prevista dalla direttiva e quindi oggetto di espunzione con la novella in esame.

Si ricorda che, in base all’articolo 12, par. 5, della direttiva, gli Stati membri adottano le misure necessarie per assicurare che siano elaborati appropriati meccanismi o procedure di rimborso per la restituzione dei contributi ai produttori qualora le AEE siano trasferite per l’immissione sul mercato al di fuori del territorio dello Stato membro interessato. Detti meccanismi o procedure possono essere elaborati dai produttori o da terzi che agiscono a loro nome.

La lettera c) interviene sul decreto, modificandone l’articolo 28, comma 7 in base alla direttiva (art. 14, par. 4) in materia di disposizioni dedicate agli obblighi di informazione da garantire nei casi eccezionali in cui, a causa delle dimensioni o della funzione del prodotto, non sia possibile apporre segni sull’apparecchiatura.

In particolare, si prevede che, qualora non sia possibile, a causa delle dimensioni o della funzione del prodotto, apporre il simbolo – e il marchio del produttore, come aggiunto con una modifica approvata dal Senato, che ripropone sotto tale aspetto il riferimento al marchio previsto nel testo già vigente della norma – sull’apparecchiatura elettrica ed elettronica, gli stessi sono apposti sull’imballaggio, sulle istruzioni per l’uso e sulla garanzia dell’apparecchiatura elettrica ed elettronica.

L’obbligo di apporre il simbolo – e il marchio, a seguito della citata modifica approvata dal Senato in prima lettura – oltreché sull’imballaggio e sulle istruzioni d’uso, come già attualmente previsto dal decreto vigente, riguarda nella norma in esame anche la garanzia dell’apparecchiatura, e, con una ulteriore modifica approvata dal Senato in prima lettura si è specificato ‘anche se in formato digitale’.

Si rammenta che il par. 4 dell’articolo 14 della direttiva in rilievo prevede che, al fine di ridurre al minimo lo smaltimento dei RAEE come rifiuti urbani misti e di facilitarne la raccolta differenziata, gli Stati membri provvedono affinché i produttori marchino adeguatamente, preferibilmente in conformità alla norma europea EN 50419, con il simbolo indicato nell’allegato IX(33le AEE immesse sul mercato. In casi eccezionali, ove sia necessario a causa delle dimensioni o della funzione del prodotto, si prevede il simbolo sia stampato sull’imballaggio, sulle istruzioni per l’uso e sulla garanzia dell’AEE.

Si segnala che la relazione illustrativa al testo originario rilevava che, con la riformulazione dell’articolo 28, comma 7 (che nel testo originario espungeva il riferimento al marchio) non veniva più ammessa alcuna deroga all’obbligo di apporre il marchio di fabbrica sull’apparecchiatura, essendo questo uno strumento indispensabile alla tracciabilità dei RAEE ed alla loro corretta gestione.

Si ricorda che l’articolo 28 vigente, rubricato “Marchio di identificazione del produttore”, dispone che il produttore apponga sulle apparecchiature elettriche ed elettroniche da immettere sul mercato un marchio, che deve consentire di individuare in maniera inequivocabile il produttore delle AEE. Si specificano le indicazioni che deve contenere il marchio. Il comma 5 stabilisce che, per le finalità indicate, quali assicurare il corretto smaltimento dei RAEE e facilitarne la raccolta differenziata, il produttore apponga sulle apparecchiature il simbolo riportato all’Allegato IX al D. Lgs. 49/2014, mentre il co.6. prevede che il marchio ed il simbolo sono apposti sulla superficie dell’AEE, o su una superficie visibile dopo la rimozione di un coperchio o di una componente dell’apparecchiatura stessa.

In particolare, il comma 7 prevede poi che, qualora non sia possibile, a causa delle dimensioni o della funzione del prodotto, apporre il marchio e il simbolo sull’apparecchiatura elettrica ed elettronica, gli stessi sono apposti sull’imballaggio e sulle istruzioni per l’uso dell’apparecchiatura elettrica ed elettronica.

Si valuti l’opportunità di verificare la compatibilità del riferimento anche al marchio, posto che tale riferimento al marchio non risulta espressamente contenuto nella disposizione della direttiva citata, ove si fa riferimento al solo simbolo.

La lettera d) interviene sull’articolo 30, comma 2, del citato decreto per specificare le modalità con cui il produttore, nel caso intenda vendere AEE in uno Stato dell’Unione europea diverso da quello nel quale è stabilito, debba provvedere ad identificare il proprio rappresentante autorizzato presso tale Stato.

Tale figura è prevista dalla direttiva come “la persona responsabile dell’adempimento degli obblighi del produttore nel territorio di tale Stato membro”.

Si ricorda che l’articolo 30 del d. Lgs. 49/2014 prevede che il produttore avente sede legale in un altro Stato membro dell’Unione europea può, in deroga quanto disposto all’articolo 4, comma 1, lettera g), numeri da 1) a 3), designare con mandato scritto un rappresentante autorizzato, inteso come persona giuridica stabilita sul territorio italiano o persona fisica, in qualità di legale rappresentante di una società stabilita nel territorio italiano, responsabile per l’adempimento degli obblighi ricadenti sul produttore, ai sensi della presente decreto legislativo. In particolare il comma 2 prevede che il produttore di cui all’articolo 4, comma 1, lettera g), numero 4), stabilito nel territorio nazionale, il quale vende AEE in un altro Stato membro dell’Unione europea nel quale non è stabilito, deve “nominare” un rappresentante autorizzato presso quello Stato, responsabile dell’adempimento degli obblighi ricadenti sul produttore ai sensi della disciplina dello Stato in cui è effettuata la vendita.

La modifica richiede di provvedere a tale designazione con mandato scritto, come previsto dalla direttiva (art. 17, par. 3, direttiva citata).

La lettera e) provvede a correggere un errore formale: il titolo dell’allegato V rinvia, infatti, all’art. 15 (Ritiro dei RAEE conferiti nei centri di raccolta), anziché all’art. 19 (Obiettivi di recupero), il cui contenuto è, appunto, riferito al conseguimento degli obiettivi minimi i di cui all’allegato V.

La lettera f) parimenti provvede ad emendare un refuso consistente nell’omessa indicazione della data di decorrenza degli obblighi minimi di recupero, in vigore dal 13 agosto 2012, previsti dallo stesso allegato V, parte I, in linea con la direttiva.

Con la lettera g) si interviene sulla disciplina della documentazione minima richiesta per le spedizioni di AEE difettose effettuate dal detentore al produttore o a un terzo che agisce a suo nome. In particolare viene eliminato dal punto. 2, lett. a) dell’allegato VI del decreto il riferimento al ‘contratto di riparazione’, che non è contemplato dal corrispondente allegato VI della direttiva.

Anche la lettera h) interviene sulla disciplina della documentazione minima delle spedizioni dei prodotti difettosi, con specifico riferimento alle AEE ad uso professionale usate difettose, quali dispositivi medici e loro parti.

Precisamente viene modificata la lett. c) del punto 2 dell’Allegato VI del decreto, introducendo la possibilità che le AEE possano essere rinviate al produttore o ad un terzo che agisca a suo nome per un’analisi delle cause profonde anche nel caso in cui l’analisi possa essere effettuata da terzi che agiscono a nome del produttore.

Si ricorda che la lett. c) del punto 2 dell’Allegato VI della direttiva prevede infatti che le AEE ad uso professionale usate difettose, quali dispositivi medici e loro parti, sono rinviate al produttore o a un terzo che agisce a suo nome per un’analisi delle cause profonde in base a un contratto valido, nei casi in cui tale analisi possa essere effettuata solo dal produttore o da terzi che agiscono a suo nome.

Si segnala, infine, che l’articolo 13 del disegno di legge di delegazione europea (già A.C. 1201, ora A.S. 944), già approvato dalla Camera in prima lettura, in corso di esame in Senato, stabilisce i principi e i criteri direttivi per l’attuazione della direttiva 2018/849, che modifica, tra le altre, la direttiva sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche, cosiddetti “Raee” (2012/19/Ue).

33) L’allegato IX reca ‘Simbolo per la marcatura delle Aee’, specificando che il simbolo che indica la raccolta differenziata delle AEE è un contenitore di spazzatura mobile barrato, indicato in allegato. Il simbolo è stampato in modo visibile, leggibile e indelebile. 

Articolo 20
(Disposizioni relative allo smaltimento degli sfalci e delle potature caso EU-Pilot 9180/17/ENVI)

L’articolo 20, modificato dalla Camera dei deputati, è relativo allo smaltimento degli sfalci e delle potature e risulta finalizzato alla chiusura del Caso Eu-Pilot 9180/17/ENVI concernente specifiche ulteriori ‘esclusioni’ dalla normativa sui rifiuti introdotte dal legislatore nazionale all’articolo 185, comma 1, lettera f) del decreto legislativo n. 152/2006 (Codice dell’ambiente), rispetto al testo della direttiva europea sui rifiuti.

La norma esclude dall’applicazione della parte quarta del Codice dell’ambiente, in materia di rifiuti, le materie fecali, la paglia nonché l’altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso quali – in un elenco che la norma medesima specifica avere carattere esemplificativo e non esaustivo – gli sfalci e le potature, ove effettuate nell’ambito delle buone pratiche colturali.

In virtù di una proposta emendativa approvata durante l’esame alla Camera, l’esclusione si stabilisce altresì per la categoria degli sfalci e delle potature derivanti dalla manutenzione del verde pubblico dei comuni, riproponendo per tale aspetto l’esclusione già prevista a legislazione vigente.

Si prevede che i materiali siano utilizzati in agricoltura, nella silvicoltura o per la produzione di energia da tale biomassa, anche al di fuori del luogo di produzione ovvero con cessione a terzi, con metodi che non danneggiano l’ambiente e la salute umana.

Di seguito l’illustrazione dettagliata della norma in esame e, in calce alla scheda, una tabella di raffronto che evidenzia le modifiche operate nel tempo, dai successivi interventi legislativi e dall’articolo in esame, al testo della lettera f) del comma 1 dell’art. 185 del Codice dell’ambiente, anche riguardo al dettato della corrispondente disposizione della direttiva europea 2008/98/CE.

La disposizione novella l’articolo 185, comma 1, del c.d. Codice dell’ambiente, recante esclusioni dall’applicazione delle norme in materia di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti inquinati, la cui lettera f) viene interamente sostituita.

L’articolo si riferisce alla chiusura del Caso Eu-Pilot 9180/17/ENVI, nell’ambito del quale la Commissione europea ha rilevato come il legislatore nazionale non abbia correttamente trasposto l’articolo 2, paragrafo 1, lettera f), della direttiva 2008/98/CE relativa ai rifiuti(34.

Tale norma europea esclude dalla nozione di rifiuto, oltre alle materie fecali, la paglia e ogni ‘altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso utilizzati nell’attività agricola, nella silvicoltura o per la produzione di energia da tale biomassa mediante processi o metodi che non danneggiano l’ambiente né mettono in pericolo la salute umana’.

Si ricorda che l’articolo 185 del codice dell’ambiente, recante “Esclusioni dall’ambito di applicazione”, prevede, nel testo attualmente vigente, che non rientrano nel campo di applicazione della parte quarta del Codice medesimo una serie di fattispecie, tra cui, alla lettera f) vigente:

– le materie fecali, se non contemplate dal comma 2, lettera b), del medesimo articolo 185, fattispecie confermata dalla disposizione in esame;

– la paglia, fattispecie anch’essa confermata dalla disposizione in esame;

– gli sfalci e le potature provenienti dalle attività di cui all’articolo 184, comma 2, lettera e), e comma 3, lettera a) fattispecie questa – non più espunta, come era nel testo originario della norma in esame – bensì riformulata in base alla novella in esame;

– nonché ogni altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso destinati alle normali pratiche agricole e zootecniche o utilizzati in agricoltura, nella silvicoltura o per la produzione di energia da tale biomassa, anche al di fuori del luogo di produzione ovvero con cessione a terzi, mediante processi o metodi che non danneggiano l’ambiente né mettono in pericolo la salute umana: disposizione come detto in parte riformulata dalla novella qui in esame.

Si fa altresì notare che l’attuale testo della lettera f) del comma 1 dell’art. 185 del D.Lgs. 152/2006, risultante dalle modifiche operate dalla L. 154/2016, è stato oggetto dell’atto di segnalazione dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AS 1512) del 22 maggio 2018, la quale ha auspicato “l’opportunità di abrogare l’attuale lettera f) del comma 1 dell’art. 185 del decreto legislativo n. 152/2006, come modificata ad opera della legge 28 luglio 2016, n. 154, allineandone i contenuti a quanto previsto dalla pertinente normativa comunitaria, e in particolare dalla direttiva 2008/98/CE, al fine di eliminare potenziali effetti distorsivi nei mercati del trattamento degli scarti vegetali”.

Si fa altresì notare che la possibilità di circoscrivere la portata normativa della disposizione in questione “a paglia, sfalci e potature agricole e forestali” era stata già considerata dall’Assemblea del Senato, con l’approvazione (avvenuta nella seduta del 6 luglio 2016) dell’ordine del giorno 9/1328-B/22, a conclusione dell’esame del disegno di legge poi approvato come legge n. 154/2016.

In base al testo, come approvato a seguito dell’esame presso la Camera, della lettera f) in parola, si prevede che non rientrino nel campo di applicazione della parte quarta del Codice ambientale relativa alla gestione dei rifiuti i seguenti materiali:

·        materie fecali, se non contemplate dal comma 2, lettera b), dello stesso articolo 184 (fattispecie già prevista a legislazione vigente)

Si ricorda che il comma 2 citato stabilisce che sono esclusi dall’ambito di applicazione della parte quarta del codice, in quanto regolati da altre disposizioni normative comunitarie, ivi incluse le rispettive norme nazionali di recepimento, tra gli altri, i sottoprodotti di origine animale, compresi i prodotti trasformati, contemplati dal regolamento (CE) n. 1774/2002, eccetto quelli destinati all’incenerimento, allo smaltimento in discarica o all’utilizzo in un impianto di produzione di biogas o di compostaggio (citata lett. b).

·        paglia (fattispecie già prevista a legislazione vigente)

·        e altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso quale a titolo esemplificativo e non esaustivo, gli sfalci e le potature effettuate nell’ambito delle buone pratiche colturali. Rispetto alla legislazione vigente, viene prevista la caratteristica che queste siano effettuate nell’ambito delle buone pratiche colturali.

·        nonché – secondo la modifica approvata dalla Camera – gli sfalci e le potature derivanti dalla manutenzione del verde pubblico dei comuni. Tale modifica approvata dall’altro ramo del Parlamento ricalca sostanzialmente quanto previsto, a legislazione vigente, circa la fattispecie degli sfalci e delle potature provenienti dalle attività di cui all’articolo 184, comma 2, lettera e) – vale a dire i rifiuti vegetali provenienti da aree verdi urbane, quali giardini, parchi e aree cimiteriali – di cui, con la modifica in parola, si reintroduce l’esclusione (dalla applicazione della normativa sui rifiuti).

Si valuti la compatibilità della previsione con riferimento alla fattispecie degli sfalci e delle potature derivanti dalla manutenzione del verde pubblico urbano dei comuni, rispetto al quadro europeo, atteso che l’esclusione di tale fattispecie dalla applicazione della normativa sui rifiuti non risulta prevista nel testo della Direttiva.

Su tale aspetto, per i profili di compatibilità con il quadro europeo, si ritiene utile di seguito ricostruire, in sintesi, l’iter di esame della norma nelle sue successive modifiche parlamentari, riportando altresì i contenuti della relazione fornita dal Governo sui profili in rilievo per il caso EU pilot aperto nei confronti dell’Italia.

In ordine alle esclusioni (dalla normativa sui rifiuti) che vengono contestate all’Italia, si ricorda che il testo originario del disegno di legge, presentato in prima lettura in Senato (art. 12 dell’A.S. 822), ricalcando la citata direttiva europea, espungeva, rispetto alla norma vigente, – dunque non considerandoli più esclusi dalle norme del codice dell’ambiente sui rifiuti – gli sfalci e le potature provenienti dalle attività di cui all’articolo 184, comma 2, lettera e), e comma 3, lettera a) del Codice dell’ambiente.

Trattasi, ai sensi della vigente disposizione, rispettivamente:

·        dei rifiuti urbani individuati nei vegetali provenienti da aree verdi, quali giardini, parchi e aree cimiteriali (di cui all’articolo 184, comma 2, lettera e), Cod. ambiente);

·        dei rifiuti speciali individuati nei rifiuti da attività agricole e agro-industriali, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2135 c.c. (di cui all’art. 184, comma 3, lettera a) Cod. ambiente).

Rispetto al testo originariamente proposto:

– nel corso dell’esame in prima lettura in Senato era stato reintrodotto in norma il riferimento a sfalci e potature, presente nella legislazione vigente, ma con una riformulazione volta a specificare il carattere esemplificativo e non esaustivo della previsione di tali materiali, e con riferimento solo alla categoria ‘altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso’;

– nel corso dell’esame presso la Camera dei deputati, viene invece introdotto in norma anche il riferimento agli “sfalci e le potature derivanti dalla manutenzione del verde pubblico dei comuni “, che risultano così esclusi dall’applicazione delle norme in materia di gestione dei rifiuti della parte quarta del codice dell’ambiente, ricalcando sotto tale aspetto la previsione a legislazione vigente sulla quale verte la procedura EU pilot in rilievo.

In particolare, si segnala infatti che la relazione illustrativa al testo originario della norma come proposta dal Governo – norma ora modificata a seguito dell’iter di esame parlamentare – affermava che dagli approfondimenti effettuati sulla base delle indicazioni ricevute dalla Commissione europea nell’ambito del citato Caso EU Pilot 9180/17/ENVI, si fosse ritenuto che il legislatore italiano abbia esteso sostanzialmente il regime di favore previsto all’articolo 2, paragrafo 1, lettera f), della direttiva sui rifiuti ai seguenti materiali: i rifiuti vegetali provenienti da aree verdi urbane (giardini, parchi e aree cimiteriali) di cui all’articolo 184, comma 2, lettera e), del decreto legislativo 152/2006 e i rifiuti speciali prodotti da attività agricole e agro-industriali di cui all’articolo 184, comma 3, lettera a), dello stesso decreto. L’intervento normativo risultava quindi teso – secondo quanto riportato nella Relazione al testo originario della disposizione- ad evitare una chiusura negativa del caso e la conseguente apertura di una procedura d’infrazione per non corretto recepimento della direttiva europea sui rifiuti.

La stessa relazione illustrativa affermava che, rilevato che difficilmente tali materiali possono, a priori, essere considerati materiali agricoli o forestali naturali, alla luce della giurisprudenza europea, ‘occorre garantire il rispetto del principio secondo il quale la nozione di rifiuto non può essere interpretata in senso restrittivo, né tantomeno possono essere interpretate in senso estensivo le eccezioni alla definizione di rifiuto previste dall’articolo 2 della direttiva 2008/98/CE‘.

Si richiamano, a tale riguardo, le posizioni già assunte dalla Commissione europea, e le diverse condanne pronunciate nei confronti dell’Italia in casi analoghi e, in particolare, la sentenza del 18 dicembre 2007, nella causa C -195/05 sugli scarti alimentari e la sentenza del 22 dicembre 2008, nella causa C-283/07 sui rottami ferrosi.

Il testo della norma in esame, a seguito di una modifica apportata durante la prima lettura in Senato rispetto al testo originariamente proposto dal Governo, reintroduce il riferimento al possibile utilizzo dei materiali in questione ‘anche al di fuori del luogo di produzione ovvero con cessione a terzi’.

Tale riferimento non risulta indicato nel testo della direttiva.

La lettera f) dell’art. 2, par. 1, della direttiva citata prevede, quale esclusione dall’ambito di applicazione dalla Direttiva stessa: “f) materie fecali, se non contemplate dal paragrafo 2, lettera b), paglia e altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso utilizzati nell’attività agricola, nella silvicoltura o per la produzione di energia da tale biomassa mediante processi o metodi che non danneggiano l’ambiente né mettono in pericolo la salute umana”.

Su tale punto, va ricordato che in sede di espressione del parere sul testo del disegno di legge, la 13a Commissione del Senato aveva formulato un’osservazione, rilevando che ‘non emergono profili di incompatibilità con la normativa comunitaria nell’inserimento nel citato articolo 185, comma 1, lettera f), dell’inciso “, anche al di fuori del luogo di produzione ovvero con cessione a terzi,”, limitandosi tale inciso ad esplicitare quanto già desumibile dalla disposizione della direttiva richiamata, nella quale non è prevista alcuna differenziazione della disciplina applicabile in ragione del luogo di utilizzazione o di un’eventuale cessione a terzi, purché ricorrano tutte le altre condizioni richieste’, formulando un’osservazione volta a conservare nella formulazione della lettera f) del comma 1, dell’articolo 185 del Codice dell’ambiente di cui al decreto legislativo n. 152 del 2006 il riferimento in parola.

Si ricorda infine che la relazione illustrativa al testo in esame, come originariamente proposto dal Governo (si veda l’A.S. 822), già sopra richiamata – nel ricordare come la relativa norma europea sia stata attuata dall’articolo 185, comma 1, lettera f), del decreto legislativo 152 del 2006, da ultimo modificato dall’articolo dall’ art. 41, comma 1, della 28 luglio 2016, n. 154, che ha incluso fra i materiali non rientranti nella nozione di rifiuto anche gli sfalci e le potature provenienti dalle attività di manutenzione delle aree verdi (giardini, parchi e aree cimiteriali), di cui all’articolo 184, comma 2, lettera e), oltre agli sfalci e le potature provenienti dalle attività agricole e agro-industriali di cui all’articolo 184, comma 3, lettera a) – affermava che le specifiche introdotte nella disciplina nazionale a suo tempo previste erano finalizzate a precisare la nozione di materiale agricolo o forestale naturale e ad agevolare una corretta attuazione della norma in parola, con riferimento, in particolare, alle imprese non qualificate come agricole ai sensi dell’articolo 2135 del codice civile.

Ai sensi dell’articolo 2135 c.c. è imprenditore agricolo chi esercita una delle seguenti attività: coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse. Per coltivazione del fondo, per selvicoltura e per allevamento di animali si intendono le attività dirette alla cura e allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine. Si intendono comunque connesse le attività, esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge.

Per una più ampia ricostruzione della vicenda, si ricorda che la lettera in parola era stata sostituita nella formulazione oggi vigente dall’art. 41, comma 1, L. 28 luglio 2016, n. 154, recante Deleghe al Governo e ulteriori disposizioni in materia di semplificazione, razionalizzazione e competitività dei settori agricolo e agroalimentare, nonché sanzioni in materia di pesca illegale. Tale norma aveva infatti escluso dalla definizione di rifiuto – contenuta nel codice ambientale – le materie fecali, la paglia, gli sfalci e le potature nonché ogni altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso destinati alle normali pratiche agricole e zootecniche utilizzati in agricoltura, nella silvicoltura o per la produzione di energia da biomassa, anche al di fuori del luogo di produzione o con cessione a terzi.

Si ricorda che prima dell’entrata in vigore del decreto legislativo n. 205 del 2010, che aveva recepito la direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 novembre 2008, in base all’art. 185, comma 2, potevano essere considerati sottoprodotti i “materiali fecali e vegetali provenienti da sfalci e potature di manutenzione del verde pubblico e privato, oppure da attività agricole, utilizzati nelle attività agricole, anche al di fuori del luogo di produzione, ovvero ceduti a terzi, o utilizzati in impianti aziendali o interaziendali per produrre energia o calore, o biogas”.

In occasione dell’introduzione della lettera f) in parola, con l’articolo 41 D.L. 154 del 2016, era emerso come l’espunzione del riferimento agli sfalci e potature derivanti dal verde pubblico e privato, operata dal decreto legislativo n. 205 del 2010, avesse determinato talune incertezze negli operatori del settore, per cui il Ministero dell’ambiente aveva indicato (con la nota 1° marzo 2011, prot. 11338) che i rifiuti vegetali provenienti da aree verdi quali giardini, parchi e aree cimiteriali andassero classificati come rifiuti urbani ai sensi dell’art. 184, comma 2, lettera e), del decreto legislativo n. 152 del 2006, poiché l’esclusione dal campo di applicazione della normativa sui rifiuti per la “paglia, sfalci e potature, nonché altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso utilizzati in agricoltura, nella selvicoltura o per la produzione di energia da tale biomassa” (art. 185, comma 1, lett. f) del decreto legislativo n. 152 del 2006) andava riferita esclusivamente ai materiali provenienti da attività agricola o forestale destinati agli utilizzi ivi descritti.

Articolo 21
(Abrogazione delle disposizioni recanti estensione del periodo di incentivazione per gli impianti a biomasse, biogas e bioliquidi)

L’articolo 21, introdotto in prima lettura in Senato e non modificato dalla Camera, abroga le disposizioni di cui ai commi 149150 e 151 dell’articolo 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2016), recanti l’estensione del periodo di incentivazione per gli impianti a biomasse, biogas e bioliquidi.

Lo scopo dell’abrogazione è evitare una procedura d’infrazione, ai sensi del combinato disposto degli articoli 108, comma 2, e 258 del TFUE.

Infatti, il comma 149 della legge di stabilità 2016 – oggetto di abrogazione con la norma approvata dal Senato – era teso ad assicurare il contributo italiano al conseguimento degli obiettivi 2020 sulle fonti rinnovabili. Vi si prevede (agli effetti pratici dello stato attuale) che agli esercenti di impianti per la produzione di energia elettrica alimentati da biomasse, biogas e bioliquidi sostenibili, che cessino entro il 31 dicembre 2018 di beneficiare di incentivi sull’energia prodotta, in alternativa all’integrazione dei ricavi, è concesso il diritto di fruire di un incentivo sull’energia prodotta. Le modalità e le condizioni per tale fruizione sono stabiliti dai successivi commi 150 e 151.

In sintesi e in pratica, a questi operatori erano offerte due vie:

1.   l’incentivo sull’energia prodotta, previsto dall’art. 1, comma 149, della legge n. 208 del 2015 fino al 31 dicembre 2020, termine poi prorogato al 31 dicembre 2021, a opera dell’art. 3-quater, comma 1, lett. a) del decreto legge n. 243 del 2016 (convertito nella legge n. 18 del 2017). Si noti che la legge n. 205 del 2017(legge di bilancio per il 2018) aveva anche esteso il beneficio in modo alternativo al termine fisso del 31 dicembre 2021, ammettendolo per i primi 5 anni dal rientro in esercizio degli impianti. Il comma 150 che la norma provvede ad abrogare dispone che tale incentivo è pari all’80 per cento di quello riconosciuto dal D.M. 6 luglio 2012 agli impianti di nuova costruzione e di pari potenza. Esso è erogato dal GSE secondo le modalità fissate dallo stesso D.M., a partire dal giorno successivo alla cessazione del precedente incentivo, qualora tale data sia successiva al 31 dicembre 2015, ovvero a partire dal 1° gennaio 2016 se la data di cessazione del precedente incentivo è antecedente al 1 gennaio stesso.

L’erogazione è subordinata alla decisione favorevole della Commissione europea in esito alla notifica del regime di aiuto di cui al successivo comma 151. Secondo tale comma 151 della legge di stabilità 2016 – anch’esso oggetto di abrogazione con la norma in esame – , entro il 31 dicembre 2018 (termine così da ultimo esteso con il comma 588 dell’articolo 1 della legge 27 dicembre 2017, n. 205) i produttori interessati devono fornire al MISE gli elementi per la notifica alla Commissione UE del regime di aiuto ai fini della verifica di compatibilità dello stesso con la disciplina in materia di aiuti di Stato a favore dell’ambiente e dell’energia 2014-2020 (Comunicazione 2014/C 200/01). Si tratta in particolare: delle autorizzazioni di legge possedute per l’esercizio dell’impianto, della perizia asseverata di un tecnico attestante il buono stato di uso e di produttività dell’impianto e del piano di approvvigionamento delle materie prime, nonché degli altri elementi necessari per la notifica alla Commissione europea del regime di aiuto di cui agli stessi commi.

1.   l’integrazione dei ricavi, prevista dall’articolo 24, comma 8, del decreto legislativo n. 28 del 2011. Tale disposizione stabilisce, fermo restando quanto stabilito dall’articolo 13 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 in materia di partecipazione al mercato elettrico dell’energia prodotta da fonti rinnovabili, che entro la data indicata del 31 dicembre 2012 e sulla base di indirizzi stabiliti dal Ministro dello sviluppo economico, l’Autorità per l’energia elettrica e il gas provveda a definire prezzi minimi garantiti, ovvero integrazioni dei ricavi conseguenti alla partecipazione al mercato elettrico, per la produzione da impianti a fonti rinnovabili che continuano ad essere eserciti in assenza di incentivi e per i quali, in relazione al perseguimento degli obiettivi indicati, la salvaguardia della produzione non è assicurata dalla partecipazione al mercato elettrico. A tale scopo, gli indirizzi del Ministro dello sviluppo economico e le conseguenti deliberazioni dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas mirano ad assicurare l’esercizio economicamente conveniente degli impianti, con particolare riguardo agli impianti alimentati da biomasse, biogas e bioliquidi, fermo restando, per questi ultimi, il requisito della sostenibilità. Si ricorda in attuazione del citato articolo 24 era stato emanato il D.M. 6 luglio 2012.

In relazione a questo contesto, la Commissione europea – per gli effetti degli articoli 107 e 108 del TFUE – aveva rammentato che “il punto 133 delle linee guida in materia di aiuti di Stato a favore dell’ambiente e dell’energia (EEAG) stabilisce che la Commissione considererà compatibili con il mercato interno gli aiuti al funzionamento per gli impianti a biomassa dopo l’ammortamento dell’impianto se lo Stato membro interessato dimostra che i costi operativi sostenuti dal beneficiario dopo l’ammortamento dell’impianto risultano ancora superiori al prezzo di mercato dell’energia in questione e a condizione che siano soddisfatte una serie di condizioni ivi previste”. A tale riguardo, una serie di informazioni sono state richieste dalla Commissione europea alle Autorità italiane al fine di poter assumere una posizione sulle norme in materia, in relazione ai profili di aiuto di Stato.

In conclusione, la disposizione in esame – nel sopprimere alla radice la possibilità dell’incentivo alla produzione elimina la fattispecie in rilievo per i profili di aiuto di Stato.

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