ISPI – Energia quato mi costi?

In Italia, il prezzo netto dell’elettricità per l’industria a gennaio è stato il secondo più alto d’Europa: 225 euro per megawattora. Di poco più basso di quello spagnolo (243 €/MWh) e non lontano da quello francese (211 €/MWh), ma ben il 34% superiore ai prezzi in Germania.  

Solo nove mesi fa lo scenario era molto diverso, con prezzi in Italia nell’ordine dei 60 €/MWh: comunque maggiori rispetto a quasi tutti paesi europei presi in considerazione, ma con differenze quasi trascurabili se rapportate alla situazione attuale. A una base di partenza più alta è poi corrisposto un aumento tra i più significativi in Europa: da marzo 2021 i prezzi italiani dell’elettricità sono aumentati di 3,7 volte. 

Così, il costo dell’energia per le imprese italiane potrebbe toccare i 37 miliardi di euro nel 2022. Una cifra quasi 5 volte superiore rispetto al 2019, e in salita persino rispetto ai già elevati 21 miliardi del 2021. Per confronto, la “bolletta” per le imprese prevista per il 2022 sarebbe da sola superiore all’intero ammontare dei fondi destinati dal PNRR al Ministero della Transizione Ecologica (34,9 miliardi di euro). Se i prezzi dovessero rimanere a questi livelli, la crescita del PIL italiano potrebbe essere dello 0,8% inferiore al previsto nel primo trimestre del 2022, e quasi un terzo (500mila) dei posti di lavoro nei settori più energivori sarebbe a rischio

Per capire perché i prezzi dell’elettricità sono aumentati così tanto proprio in Italia dobbiamo guardare ai mix energetici dei diversi paesi europei. Tra tutti i paesi Ue, l’Italia è il paese che più fa ricorso al gas naturale. Ciò accade per diverse ragioni. 

Innanzitutto, l’Italia non produce elettricità da energia nucleare. Ciò la rende diversa dagli altri tre Paesi riportati nel grafico. La Francia, per esempio, riesce a produrre quasi i due terzi del suo fabbisogno elettrico sfruttando l’atomo (che dunque conta per ben il 36% nel suo mix energetico totale). 

Dal lato delle energie rinnovabili, l’Italia è più avanti rispetto alla Francia, ma più indietro rispetto a Germania e Spagna. Le alternative che restano sono dunque tutte fonti fossili. In questo senso, tra i tre paesi l’Italia sarebbe il più “virtuoso”, perché si avvale soprattutto della fonte fossile che produce minori emissioni per quantità di energia prodotta, il gas naturale. La Spagna fa invece più ampio uso del petrolio (44% del mix energetico nazionale), mentre la Germania utilizza ancora molto carbone (più del triplo rispetto all’Italia), anche a causa del previsto phase out delle centrali nucleari entro fine 2022. 

Attenzione, però: i prezzi dell’elettricità sono una questione complessa. Il nucleare è infatti utilizzato soprattutto per soddisfare la domanda minima di energia elettrica (il c.d. “carico di base”), mentre i prezzi dell’elettricità si formano al massimo della domanda. Questo significa che, se per far fronte al picco di domanda devo accendere una centrale a gas, il prezzo finale sarà determinato dal prezzo del gas. Un “problema” che tocca meno quei paesi, come la Germania, che producono molta elettricità con il carbone. Ma che colpisce la Francia, che ha molto nucleare ma anche molte centrali a gas. 

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