Giurisprudenza – Caduta dall’alto – lavori di sostituzione del solaio del capannone – nozione di cantiere e di luogo di lavoro

Cassazione Penale, Sez. 4, 24 novembre 2022, n. 44654 – Caduta dall’alto durante i lavori di sostituzione del solaio del capannone. Nozione di cantiere e di luogo di lavoro

… omissis …

M.A., il giorno dell’infortunio, aveva chiesto al B.I. di andare nel cantiere, chiedendogli di verificare l’idoneità del carrello prima dell’inizio del noleggio, senza dargli i necessari dispositivi di sicurezza, nella consapevolezza della mancanza di un POS e di una corretta ed esaustiva formazione del lavoratore, il quale, nel corso dell’attività, cadeva da di circa 8 metri all’interno del capannone, riportando lesioni che ne causavano il decesso.

Il primo motivo di entrambi i ricorsi è manifestamente infondato.
La Corte territoriale ha ritenuto che le evidenze raccolte avessero dimostrato che, sia pur di fatto, il cantiere fosse stato operativo già il 2 gennaio 2015. A tal fine, ha valorizzato la presenza di ben tre operai e delle macchine noleggiate, sebbene il relativo contratto dovesse iniziare cinque giorni dopo. Del resto, lo stesso Tribunale, nella sentenza appellata, aveva precisato che l’attività da svolgersi quel giorno, secondo quanto riferito dal teste D., consisteva nella verifica della idoneità delle macchine, ossia della sufficiente estensione del cestello, implicando al contempo di raggiungere il tetto e di utilizzare il carrello. L’imputato M. era stato ben consapevole di ciò in quanto presente in cantiere, tanto da avere raccomandato al B.I. di stare attento, pur non avendo fornito ai lavoratori alcun presidio di sicurezza, neppure individua .l e (casco, imbracatura, cintura di sicurezza).


Tale argomentare, peraltro, è perfettamente coerente con quanto già chiarito da questa Corte di legittimità: nella nozione di “luogo di lavoro”, rilevante ai fini della sussistenza dell’obbligo di attuare le misure antinfortunistiche, rientra infatti ogni luogo in cui venga svolta e gestita una qualsiasi attività implicante prestazioni di lavoro, indipendentemente dalle finalità della struttura in cui essa si esplichi e dell’accesso ad essa da parte di terzi estranei all’attività lavorativa (sez. F. n. 45316 del 27/8/2019, Giomi Pietro, Rv. 277292), finalità che possono essere sportive, ludiche, artistiche, di addestramento o altro (cfr. sez. 4, n. 12223 del 3/2/2015, dep. 2016, De/mastro, Rv. 266385; sez. 4, n. 2343 del 27/11/2013, dep. 2014, Rv. 258435) e ogni luogo nel quale il lavoratore deve o può recarsi per provvedere ad incombenze di qualsiasi natura in relazione alla propria attività (sez. 4, n. 43840 del 16/5/2018, Rv. 274265).

Anche il secondo motivo dedotto con entrambi ricorsi è manifestamente infondato.
Con specifico riferimento alla condotta della vittima, vanno sì confermati i principi ai quali da tempo si attiene questo giudice di legittimità nel valutare gli obblighi di protezione che gravano sugli stessi lavoratori: in materia di prevenzione antinfortunistica, infatti, si è certamente passati da un modello “iperprotettivo”, interamente incentrato sulla figura del datore di lavoro investito di un obbligo di vigilanza assoluta sui lavoratori (non soltanto fornendo i dispositivi di sicurezza idonei, ma anche controllando che di questi i lavoratori facciano un corretto uso, imponendosi contro la loro volontà), a un modello “collaborativo”, in cui gli obblighi sono ripartiti tra più soggetti, compresi i lavoratori, in tal senso valorizzando il testo normativo di riferimento (cfr. art. 20 d.lgs. n. 81/2008), il quale impone anche ai lavoratori di attenersi alle specifiche disposizioni cautelari e agire con diligenza, prudenza e perizia 
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 La terza censura formulata con due ricorsi, oltre che generica, è parimenti manifestamente infondata.
La difesa si è limitata ad assumere il difetto dell’elemento soggettivo in capo ai due gestori del rischio, ai quali sono stati mossi gli addebiti colposi, adducendo, quanto alla M.C., la imprevedibilità del comportamento della vittima
, tuttavia insussistente per quanto già sopra chiarito e richiamando la tesi della sua mancata ingerenza nella gestione della società.
La Corte territoriale, sul punto specifico, ha rilevato che l‘imputata non aveva delegato a terzi la sicurezza dei lavoratori della società, per la quale, a suo dire, la stessa si limitava a svolgere compiti di natura amministrativa. E, tuttavia, era proprio la M. a disporre delle risorse economiche per garantire la sicurezza dell’ambiente di lavoro e ad essere tenuta per legge a predisporre il POS, magari delegandolo a terzi soggetti competenti, ciò che, nella specie, era difettato.


Sul punto, peraltro, pare sufficiente ricordare che, in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, la previsione dell’art. 299 d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, elevando a garante colui che di fatto assume ed esercita i poteri del datore di lavoro, amplia il novero dei soggetti investiti della posizione di garanzia, senza tuttavia escludere, in assenza di delega dei poteri relativi agli obblighi prevenzionistici in favore di un soggetto specifico, la responsabilità del datore di lavoro, che di tali poteri è investito ex lege e che, nelle società di capitali, si identifica nella totalità dei componenti del consiglio di amministrazione (sez. 4, n. 2157 del 23/11/2021, dep. 2022, Bacca!ini, Rv. 282568, in fattispecie in cui la Corte ha ritenuto esente da censure la decisione che, in assenza di delega di poteri, aveva riconosciuto la qualifica di datore di lavoro al presidente del consiglio di amministrazione di una società di capitali, nonostante si occupasse della prevenzione un altro componente del consiglio di amministrazione).

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